Ogni anno, tutti i maggiori brand investono milioni di dollari per ideare (e attuare) le più elaborate trovate per raccogliere quanti più “like” possibile al fine di stabilire e mantenere una solida presenza nel mondo dei Social Media… Basti pensare al video live della Red Bull in cui un uomo ha stabilito il nuovo record mondiale di paracadutismo lanciandosi da quasi 40km di altitudine.
Facebook è la piattaforma di preferenza, presidiata dall’80% delle maggiori imprese statunitensi della Fortune 500 che ogni giorno immettono enormi quantità di contenuti brandizzati (articoli, foto, video e così via), tutti costruiti per far invogliare il proprio pubblico a seguire la propria pagina ufficiale, condividerne i post e a diffondere l’immagine dell’impresa.
Spesso i professionisti del marketing giustificano questi investimenti sostenendo che attrarre nuovi fan e aumentare l’esposizione mediatica del brand si arriva, inevitabilmente, ad aumentare le vendite.
Stando a questa logica, i fan nei social saranno maggiormente portati all’acquisto dei prodotti/servizi che amano, e queste loro azioni arriverebbero a influenzare positivamente anche ai loro amici nei social (e ai collegamenti degli amici), aumentando così esponenzialmente il business delle imprese in questione.
A prima vista i dati sembrerebbero supportare questa logica: molti brand hanno visto come i clienti che interagiscono con le loro pagine ufficiali sui social media sono soliti comprare di più rispetto agli altri. Un recente caso di studio redatto da comScore e Facebook ha dimostrato come, in media e nel corso di un mese, i fan della pagina Facebook di Starbucks (o che hanno un collegamento che sia fan di quella pagina) arrivano a visitare più spesso i punti vendita Starbucks (l’11% più), spendendo l’8% in più rispetto agli altri.
Sembrerebbe tutto molto lineare, no? Purtroppo, non funziona proprio così.
Quello studio, così come molti altri, contiene un fatale errore di logica: confonde causa e conseguenza. Certamente, è possibile che fare in modo che le persone comincino a seguire un brand sui social faccia sì che loro effettuino un maggior numero di acquisti. Il problema è che è anche possibile che coloro che già provavano sentimenti positivi nei confronti di quel brand siano molto più propensi a mettere “like”, e che questa affiliazione iniziale sia anche il motivo per cui sono disposti a spendere di più rispetto ai non-fan.
Negli ultimi 4 anni, gli autori dello studio originale da cui è stato tratto questo articolo (L.K. John, D.Mochon, O.Emrich, J.Schwartz di hbr.org) hanno condotto un totale di 23 esperimenti che hanno coinvolto più di 18.000 persone e usato un A/B Test per esplorare un controfattuale decisivo:
Come si sarebbero comportati quei follower se inizialmente non avessero messo “mi piace” sulla pagina del brand in questione?
E considerando i milioni di dollari in budget marketing che la maggior parte delle imprese più influenti immettono nei social media, questa distinzione è tutto meno che triviale. Ha infatti implicazioni critiche per l’allocazione degli investimenti aziendali e per le modalità con cui gestiscono la propria immagine sui Social Network.
In questi esperimenti sono state testate 4 modalità interattive dalla complessità crescente con cui Facebook (come social dominante) possa influire sui comportamenti dei consumatori.
- Come prima cosa, è stato testato se mettere “like” alla pagina di un brand (il che, passivamente, implica anche cominciare a seguirla) possa aumentare la probabilità d’acquisto.
- Come secondo punto, è stato esaminato se questi stessi “like” possano influire sugli acquisti dei loro collegamenti.
- In terzo luogo, è stato verificato se i “like” influenzino altri aspetti oltre al semplice acquisto, per esempio se possano favorire comportamenti positivi nei confronti del brand.
- Infine, è stato testato se potenziare il numero di “like” attraverso campagne a pagamento di Facebook che rendano maggiormente visibili i contenuti della pagina del brand possa aumentare le possibilità di cambiamenti significativi nel comportamento dei propri follower.
Alla fine, è risultato che i Social Media non funzionano esattamente nel modo in cui alcuni professionisti del marketing potrebbero pensare. Il solo atto di mettere “mi piace” a un brand non influisce direttamente sul comportamento dei clienti (o dei loro amici), e non implica un aumento delle vendite.
Tuttavia, questo tipo di interazione sui social può comunque portare degli effetti significativi. Dal momento che le pagine ufficiali dei grandi marchi sui social sono un luogo di raccolta per i clienti fidelizzati, funzionano egregiamente come piattaforma di customer intelligence e di feedback da cui ottenere i dati necessari a realizzare nuove strategie di marketing.
TESTARE GLI EFFETTI DEI LIKE
Svariati principi base di psicologia danno ragione di sospettare che mettere “mi piace” su una pagina Facebook possa influire sui comportamenti dei clienti e far aumentare le vendite.
E’ stato ampiamente dimostrato infatti come le persone esperiscano dissonanza cognitiva qualora le loro azioni non riflettano il loro modo di essere (pensiero, credenze, valori…), quindi il semplice fatto di interagire positivamente con la pagina di un brand dovrebbe indicare la propensione all’acquisto del suoi prodotti/servizi.
E tuttavia, questo contrasta con il risultato del set dei 4 esperimenti descritti in precedenza.
Esperimento 1: Like e modifiche nel comportamento d’acquisto
In uno dei primi test, i partecipanti sono stati divisi in due gruppi: alla prima metà è stata invitata a mettere “mi piace” sulla pagina Facebook di un nuovo brand di cosmetica, e la maggior parte ha accettato. All’altra metà non è stato inviato questo invito.
In seguito, a tutti i partecipanti sono stati dati dei coupon per reclamare dei campioncini gratuiti di quei prodotti, il cui ritiro sarebbe funto da pretesto per spingere ad un effettivo acquisto. I membri di entrambi i gruppi si sono dimostrati equamente propensi a ritirare il campione gratuito, a prescindere che fossero stati invitati a mettere “mi piace” su quella pagina Facebook o meno.
Questo fatto si è mantenuto costante anche negli studi successivi, nei quali per buona misura è stato esteso il lasso di tempo tra l’invito a mettere like e la consegna del coupon (collegato a prodotti sia di nuovi brand che di marchi già esistenti e affermati). Nel corso di 16 esperimenti dedicati, non è stato trovato alcun collegamento tra il seguire un brand su Facebook e modifiche nel comportamento d’acquisto.
Esperimento 2: Like e modifiche nel comportamento di amici/collegamenti
Nel secondo set di esperimenti, si è provato a determinare se mettere “mi piace” su una pagina influenzi il comportamento dei propri amici online. L’azione di mettere un like su Facebook viene tipicamente resa visibile a una parte dei propri collegamenti e, allo stesso modo, ogni interazione successiva con quel brand (like, condivisioni, commenti, post) appare anche nel loro news feed.
Nel marketing classico, il passaparola è considerato uno dei più potenti mezzi per influenzare il comportamento d’acquisto (sia in positivo che in negativo).
Ci sono però un paio di ragioni per cui questo non vale per le notifiche delle attività dei propri conoscenti sui social media… come prima cosa, sono gli algoritmi di Facebook a determinare quali siano i contenuti che compaiono sul news feed dei vari utenti, e un’azione come mettere “mi piace” sulla pagine di un brand viene trasmessa solo ad una ristretta cerchia di collegamenti (senza questa funzione, in media ogni utente si ritroverebbe ad essere esposto a 1.500 post al giorno). Come seconda cosa, è risaputo che esistono molteplici motivazioni per cui un utente possa mettere un like sulla pagina ufficiale di un brand (ad esempio come requisito per ottenere uno sconto).
Per testare gli effetti dei “mi piace” sui propri collegamenti, è stato chiesto a 728 persone che avevamo messo un like sulla pagina di un brand di fornire l’indirizzo mail di 3 amici, ad ognuno dei quali è stato inviato un coupon per i prodotti di quella marca. Per ogni gruppo…
- Alla prima persona veniva comunicato direttamente che il suo amico apprezzava quel brand e che per questo aveva inviato il coupon di prova.
- Alla seconda persona veniva spiegato che quel suo amico aveva messo “mi piace” su Facebook e che aveva inviato il coupon.
- Alla terza persona veniva semplicemente detto che quell’amico aveva inviato il coupon (questa categoria veniva poi usata come gruppo di controllo).
Comparando le percentuali di redemption dei coupon in questi tre gruppi (6% per il primo, 4% per il secondo e 5% per il terzo), è stato riscontrato che mettere “mi piace” su Facebook non aveva avuto effetti sostanziali sul comportamento d’acquisto degli amici.
LA DIFFERENZA TRA COMPORTAMENTO DIGITALE E REALE
Nel corso dell’ultimo set di esperimenti, è stata richiesta la collaborazione di Vitality, un’impresa di assicurazioni situata in Sud Africa. All’interno di quell’ambiente, ai clienti viene offerto un programma benessere in cui si potevano guadagnare punti (convertibili in premi) intraprendendo attività salutari come fare esercizio fisico, acquistare alimenti nutrienti, farsi vaccinare e sottoporsi a controlli medici periodici.
L’impresa era interessata a sapere se fare in modo che i suoi clienti mettessero “mi piace” nella sua pagina Facebook avrebbe influito su questi comportamenti virtuosi. Per scoprirlo, ai clienti è stato sottoposto un sondaggio online riguardante l’azienda e Facebook, nel corso del quale metà gruppo è stato invitato a mettere like sulla pagina del social, mentre la seconda metà fungeva da gruppo di controllo.
Per il fatto di aver messo “mi piace” sulla pagina di Vitality, i clienti del 1° gruppo avevano la possibilità di vedere e interagire con gli aggiornamenti della pagina Facebook ufficiale, uno spazio su cui l’impresa investe in modo sostanziale tramite contenuti innovativi brandizzati, storie di successo, domande e risposte di esperti sulla salute, sondaggi, eventi fitness e così via.
E tuttavia, a meno che gli utenti non decidessero di visitarla direttamente, era estremamente improbabile che l’algoritmo di Facebook sottoponesse loro a tutti gli aggiornamenti di quella pagina… e infatti, nel corso dei 4 mesi successivi non furono notate differenze di comportamento tra i due gruppi. Per dirla in un altro modo, non è detto che mettere “mi piace” sulla pagina di un’azienda che offre vaccini anti-influenzali si traduca nell’acquistare un vaccino.
SBLOCCARE IL POTERE DEI LIKE
La buona notizia è che esiste un modo per convertire i “mi piace” in azioni positive per l’azienda, e funziona collegandoli al più vecchio trucco del libro del marketing: l’advertising.
Ogni anno Facebook fattura più di 22 miliardi di dollari in pubblicità, la maggior parte di cui proviene dai brand aggirano gli algoritmi della piattaforma pagando per far sì che i loro contenuti acquisiscano maggiore visibilità verso il proprio target… e questo perché funziona.
Questo approccio si è dimostrato efficace anche nel corso di un follow-up dell’esperimento con Vitality, in cui l’azienda ha pagato Facebook per far sì che i membri del gruppo dei “mi piace” visualizzassero almeno due post a settimana.
E questa volta, la differenza c’è stata: in media, gli appartenenti a quel gruppo hanno cominciato a guadagnare l’8% in più di punti rispetto a quelli del gruppo di controllo. E considerando quanto può essere impegnativo far sì che le persone si impegnino ad andare in palestra, acquistare alimenti salutari e intraprendere azioni di prevenzione sanitaria, si tratta di un risultato sostanziale.
La domanda è: cosa implica tutto questo per i professionisti del marketing?
Quando negli ultimi 10 anni la popolarità dei Social Media è aumentata esponenzialmente, molti hanno cominciato a predire una rivoluzione nella strategia di marketing.Non era inconsueto che parlassero della caduta del “push marketing” (marketing tradizionale, in cui i brand promuovono e “spingono” attivamente i propri prodotti e servizi) e dell’ascesa del “pull marketing” (inbound marketing, in cui si fa in modo che siano i clienti a richiedere attivamente quegli stessi prodotti e servizi)… più judo e meno karate, insomma.
Le sperimentazioni descritte in questo articolo suggeriscono però come il marketing nei Social Media si dimostri inefficace se fa leva sul solo approccio “pull”: per ottenere risultati concreti, occorre combinare l’approccio tradizionale e quello più moderno.
FARE IN MODO CHE I LIKE LAVORINO PER TE
Stando a quanto si evince da queste ricerche, l’ideale sarebbe poter mettere in evidenza e diffondere quando possibile i post dei clienti maggiormente fidelizzati, ma ad oggi, Facebook non permette alle imprese di farlo.
Le agenzie più all’avanguardia aggirano questo ostacolo monitorando i propri canali social alla ricerca di commenti positivi ed eloquenti sui prodotti/servizi in questione, per poi integrarli nei propri messaggi marketing .
Ne è un esempio il brand di abiti sportivi Lululemon, che raccoglie e colleziona su Twitter i contenuti dei clienti maggiormente favorevoli per la propria immagine tracciandoli con hashtag specifici (come #thesweatlife), per poi re-twittarli. O il retailer di moda Free People che aggiunge le foto di Instagram dei propri clienti alle pagine dei propri prodotti. E nel corso delle promozioni festive, Lamar Advertising condivide le foto che la gente tagga con #ThankfulThisHoliday.
Molti altri marchi più o meno influenti hanno anche adottato la tattica (sempre più comune) di “seminare” interazioni positive pagando specifici influenzatori perché provino i loro prodotti e condividano opinioni positive con i propri collegamenti. Questo modo di fare ha dato vita a svariate nuove piattaforme, come ad esempio ReadyPulse, che abbina automaticamente i brand agli infuenzatori più appropriati.
CREARE INTERAZIONI SIGNIFICATIVE
Un ulteriore motivo per cui un semplice “mi piace” su un brand non ha un grande effetto su amici e collegamenti è che si tratta di un’interazione molto debole, i cui effetti non si avvicinano neppure lontanamente ad avere lo stesso peso del passaparola nel mondo reale.
E tuttavia, alcuni di questi piccoli segnali digitali possono incentivare determinate azioni. Ad esempio, una sperimentazione ha dimostrato come i post di Facebook che indicano come un proprio collegamento usa un determinato prodotto (e non semplicemente che “gli piace”) aumenta le possibilità che altri lo acquistino. Questo effetto in particolare è particolarmente pronunciato quando il prodotto stesso invia agli amici dell’utente dei messaggi personali di raccomandazione. Tuttavia, incoraggiare questo livello di engagement con un brand può essere difficile e… costoso.
Per questo motivo, il metodo preferenziale rimane quello di evidenziare il coinvolgimento degli utenti esistenti selezionando e dando visibilità ai contenuti più creativi e significativi dei clienti.
Attenzione però: questa tattica può portare a delle problematiche di privacy. Facebook stesso ha interrotto l’erogazione di Ads dedicate (che collegavano le immagini di profilo degli amici a cui “piaceva” il prodotto in promozione) proprio questo genere di problemi.
USARE L’INBOUND MARKETING PER ATTIRARE (E ASCOLTARE) I PROPRI CLIENTI
La ragione per cui le Facebook Ads possono essere efficaci è che, attraverso la pagina social di un brand, permettono di raggiungere un pubblico altamente desiderabile: i like sono infatti il mezzo per spianare il percorso ad annunci a pagamento estremamente targettizzati.
E anche se un brand dovesse decidere di non dedicare parte del budget a questi annunci, potrebbe comunque usare i suoi social media per acquisire informazioni sui propri clienti più fidelizzati. Ciò non comporta dover attirare nuovi fan tramite l’utilizzo di contenuti appariscenti e facilmente fruibili (al contrario, queste tattiche potrebbero risultare controproducenti attirando utenti poco interessati all’impresa).
Occorre invece cercare di favorire la crescita organica del proprio brand, facendo in modo che siano i clienti stessi a scoprirlo: quasi per definizione, sono proprio coloro che fanno lo sforzo di ricercare e individuare uno specifico brand sui social rappresentano il gruppo più entusiasta, fidelizzato e quindi più prezioso.
Gli appartenenti a questo gruppo sono i primi a voler provare ogni novità del brand e a fornire feedback in modo da aiutare a migliorare ulteriormente i prodotti/servizi che amano, e… difendere in prima persona il brand dalle lamentele più ingiustificate.
La Lego, ad esempio, usa i suoi canali social come punto di raccolta per idee, spunti e suggerimenti della propria clientela, che in seguito riutilizza per la realizzazione di nuovi prodotti. La compagnia di linea olandese KLM usa il proprio account Twitter come uno strumento per la raccolta di feedback, e oltre a rispondere puntualmente ai tweet dei propri clienti dimostra di ascoltarli costantemente aggiornando ogni 5 minuti la propria immagine di copertina con una stima dei propri tempi di risposta.
E quando i clienti sanno che la loro opinione conta e che i loro suggerimenti vengono presi in considerazione, diventano molto più propensi a fornire informazioni pertinenti in modo civile anche quando (inevitabilmente) vorranno lamentare dei disagi.
In conclusione, il motivo per cui molti professionisti del marketing manifestano opinioni controverse rispetto ai Social Media è che… molto spesso, li stanno usando nel modo sbagliato. Se impiegati per amplificare le proprie compagne promozionali su pubblici specifici, possono infatti fornire non solo dei ritorni più alti in termini di vendite ma anche creare preziose opportunità per connettersi ed interagire con i segmenti di clientela maggiormente fidelizzati.
E per maggiori dettagli e consigli personalizzati per la promozione della tua immagine aziendale… contatta Gianni Vacca!