Per chi guida un’impresa, l’intera la massa dei dati più importanti che riguardano il proprio business si può riassumere in due tipi principali: qualitativi e quantitativi.
I dati qualitativi sono quelli tipicamente raccolti e analizzati etnografi, antropologi e altri specialisti dello studio del comportamento umano e delle sue motivazioni nascoste.
I dati quantitativi sono invece generati dalla miriade di punti di contatto che le aziende hanno con i propri clienti.
Ad oggi, dati qualitativi e quantitativi sono promossi ed impiegati da persone molto diverse. I dati qualitativi sono tipicamente controllati da organizzazioni orientate alle scienze sociali. I dati quantitativi sono invece dominio di analisti, spesso operanti in aziende che operano nel settore IT. E, neanche a dirlo, tra queste due realtà c’è sempre stata ben poca comunicazione.
E questo non è solamente un fattore di per sé infelice, ma anche sfortunato: la combinazione di questi approcci è infatti in grado di risolvere molti dei problemi che ognuna di queste due categorie affronta quotidianamente.
L’analisi qualitativa permette di formulare ipotesi sul motivo che spinge ad agire in un certo modo: non è in grado di stabilire il “quanto”, ma si focalizza sul “perché”. Viceversa, la forza dell’analisi quantitativa risiede nella pura mole di dati che consente di osservare, con lo svantaggio che non permette di indagare sulle motivazioni che hanno portato a quei numeri.
Per poter operare correttamente è quindi necessario combinare questi due approcci, in modo da ottenere una visione d’insieme completa che permetta di giungere alla soluzione dei problemi strategici che gli imprenditori si trovano ad affrontare nella realtà di tutti i giorni.
Non appena le aziende iniziano a mettere insieme analisi qualitativa e quantitativa, ottengono uno strumento molto potente che potenzialmente può permettere loro di staccarsi da ciò che fino ad oggi è stato il fondamento della maggior parte dei programmi di analisi della clientela, ovvero i sondaggi e i focus group.
Prendiamo come esempio un caso reale analizzato da Rasmussen e Hansen di hbr.com, dove un’importante catena di supermercati europea ha recentemente arrestato con successo il declino delle vendite che stava implacabilmente erodendo le sue quote di mercato. Il dirigente marketing di questa organizzazione si era infatti reso conto che le grandi spese famigliari del fine settimana, che fino a quel giorno erano state una delle colonne portanti del suo settore, stavano gradualmente diminuendo.
Non aveva però idea di quale fosse il motivo che stava scatenando questo preoccupante cambiamento, e per scoprirlo aveva deciso di affidarsi al metodo tradizionale: il sondaggio dei consumatori. A più di 6.000 clienti distribuiti in tutti i punti vendita della catena vennero sottoposte 80 domande circa riguardanti ogni aspetto della loro spesa, dal rapporto prezzo/brand fino alle emozioni che guidano gli acquisti.
Nonostante la portata di questa indagine di mercato, alla fine i dati raccolti si erano rivelati di per sé inconcludenti. Ad esempio, quando veniva chiesto direttamente, i consumatori dichiaravano come il prezzo fosse il fattore determinante per i propri acquisti.
Stando alle statistiche, però, l’80% degli intervistati dichiarava di “scegliere sempre prodotti di alta qualità, anche se ciò comporta una spesa maggiore”. Nel frattempo, il 75% dei “buongustai” affermava di acquistare regolarmente i propri ingredienti ai discount alimentari.
Quest’ultima informazione in particolare combaciava con quello che era il pensiero che più spesso serpeggiava nelle riunioni del team di gestione, ma in quel caso perché i consumatori dichiaravano di essere disposti a pagare di più per la qualità?
Il sondaggio quantitativo sembrava essere riuscito solamente ad aumentare l’incertezza del dirigente marketing, che per non sbagliare decise di commissionare una ricerca qualitativa sui propri clienti. Nel corso dei due mesi successivi, un team ricercatori spese impiegò le proprie giornate accompagnando i consumatori nei loro giri di shopping, osservandoli non solo mentre pianificavano ed effettuavano i propri acquisti ma anche mentre preparavano i pasti con le loro famiglie.
Analizzando i dati raccolti, i dirigenti notarono un forte cambiamento nelle vite dei consumatori: non erano solo le loro abitudini alimentari ad essere cambiate, ma anche la loro vita sociale. Stando ai numeri, le classiche routine familiari andavano via via dissolvendosi e ciò rendeva estremamente difficile prevedere quale sarebbe stato l’esatto comportamento futuro.
Uno dei dati più significativi era rappresentato dalla scomparsa della cena infrasettimanale con la famiglia. I vari componenti nel nucleo famigliare aveva infatti smesso di riunirsi per cenare insieme ogni sera a causa di tutte le diete ed orari da tenere in considerazione.
Naturalmente, questo cambiamento aveva provocato degli effetti estremamente visibili sul comportamento d’acquisto: invece di effettuare un’unica grande spesa nel weekend, ora i clienti effettuavano acquisti più di nove volte la settimana. Ciò li portava inoltre a non essere affiliati ad un unico supermercato, ma a scegliere quelli che più si adattavano alle loro nuove esigenze.
La ricerca aveva rivelato inoltre che le ipotesi tradizionali riguardanti il rapporto qualità/prezzo erano molto superficiali. I clienti non categorizzavano più i punti vendita come “discount” o “premium”, quanto piuttosto in base allo stato d’animo evocato dall’ambiente. Alcuni supermercati proiettavano una sensazione di efficienza. Altri apparivano nuovi e accessibili, altri pratici ed economici, e così via.
Il responsabile marketing aveva quindi realizzato che, per incontrare le esigenze dei consumatori, un punto vendita doveva fornire non solo prodotti ma anche esperienze emozionali che fossero convenienti e distintive: in altre parole, dovevano evocare uno specifico stato d’animo.
Per convalidare questa conclusione, il team marketing la confrontò con i dati quantitativi raccolti dai propri punti vendita, cercando di isolare il fattore convenienza incrociando i dati del volume di acquisto e store location. Il risultato? Le catene di supermercati di maggior successo erano quelle che si trovavano nelle zone di maggior passaggio.
Analizzarono poi il ruolo giocato dai differenti stati d’animo e delle varie shopping experience vissute nei vari negozi, mettendo in correlazione le dimensioni dei punti vendita e i dati demografici dei clienti. Ciò che emerse fu che i supermercati più performanti avevano un alto grado di differenziazione, calibrato per adattarsi alle demografiche delle zone circostanti. E, purtroppo, nessuno dei punti vendita di maggior successo analizzati era di proprietà dell’impresa.
La conclusione era chiara: le esperienze offerte dai loro supermercati non erano in linea con la realtà delle esigenze dei clienti. Invece di focalizzarsi sull’abbassamento dei prezzi, la strategia dei supermercati doveva essere costruita su un’idea completamente diversa, ovvero la realizzazione di esperienze di consumo molto specifiche adattate allo stile di vita frammentato dei propri consumatori.
Insomma, per un imprenditore è estremamente importante capire come e quando usare al meglio i dati forniti da questi strumenti di ricerca.
Nell’esempio di prima, il dirigente marketing si era giustamente allarmato nell’esaminare il calo delle vendite presentato dall’analisi quantitativa, cominciando così a ricercare la causa del cambiamento attraverso la ricerca qualitativa. Una volta compreso perché i numeri stavano cambiando, è stato possibile avviare una strategia per recuperare l’interesse dei clienti.
Fatto questo, si è passati a riesaminare i dati iniziali e quantificare i risultati ottenuti con la ricerca demografica: di quanti clienti si parla? Distribuiti in quanti punti vendita? E quali? E così via, continuando questo processo di confronto fino a quando non fosse risultato chiaro cosa stesse accadendo (analisi quantitativa) e perché (analisi qualitativa) in modo da poter prendere una decisione ragionata.
Naturalmente, per essere in grado di fare tutto questo, un imprenditore deve essere in grado di monitorare al meglio il proprio business, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. E in ogni caso, riuscire a mettere in relazione questi dati non è proprio immediato: richiede l’adozione di strumenti specifici, personale specializzato e un budget dedicato. Ma se riuscirai ad avviare e mantenere attivo questo sistema, vedrai che il gioco sarà valso la candela!
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